la Storia di Montemesola

Montemesola è circondata da colli. Il toponimo del paese è incerto, se per la prima parte del nome, monte, il significato è evidente, problemi interpretativi si impongono, quando si vuole fornire un significato alla seconda parte, mesola. Questo deriva - a giudizio di uno storico locale - da le mensole, nome con cui venivano indicati i vasti latifondi circostanti il colle. Non è stato finora possibile indicare, con precisione, il periodo in cui si costituì l’abitato di Montemesola. Esso era feudo della potentissima e ricchissima famiglia De Ponte o Delli Ponti.

In questo periodo, comunque, in seguito ai violenti conflitti fra i Normanni e il papato, il casale si spopolò e gli abitanti si rifugiarono a Grottaglie. Subito dopo, il centro si ripopolò, sotto il dominio di Berengerio de Mandorino, che lo acquistò direttamente dalla corona di Napoli ottenendone l'investitura feudale. Dal XIII secolo, Montemesola passò a diversi feudatari, che lo ricevettero o per successione o per acquisto. A Berengerio, successe il figlio Roberto che, a sua volta, nel 1416, cedette metà del feudo allo zio Giorgio, il quale, a sua volta, vendette la sua parte alla famiglia tarantina De Nohra o De Noya, a causa dello spopolamento verificatosi. Giovanni de Noya, infatti, con due diversi atti di acquisto (il primo dell'anno 1464 e l'altro del 1468), divenne l'unico possessore dell'intero feudo, preoccupandosi di apportare migliorie e di renderlo così riabitabile. Il feudo di Montemesola era diviso fra la famiglia De Pontibus e la famiglia De Noya. Negli anni 1461 - 1470, Giorgio Castriota Scanderberg (principe di Krujia Albania), inviò un corpo di spedizione di circa 5.000 albanesi guidati dal nipote Coiro Stresio in aiuto a Ferrante I d'Aragona nella lotta contro Giovanni d'Angiò. Le popolazioni quindi, ed anche Montemesola, subirono quella che fu nella storia delle colonie albanesi in Italia, la terza migrazione. Per i servizi resi, furono concessi al principe Scanderberg diritti feudali su Monte Gargano, San Giovanni Rotondo e Trani e fu concesso ai soldati e alle loro famiglie di stanziarsi in ulteriori territori. I coloni albanesi rifondarono le terre e vissero convivendo pacificamente per lungo tempo con la popolazione locale. Alla morte di Giovanni de Noya, avvenuta nel 1483, la moglie Luisa Muscettola continuò da sola ad esercitare il possesso del feudo che fu poi diviso, nell'anno 1511, una seconda volta, fra i suoi eredi: la parte comprendente la masseria Visciolo venne ereditata dal figlio secondogenito Giovanni Andrea, quella comprendente la masseria Era venne invece ereditata da Giovanni Antonio de Noya e i suoi fratelli (figli del quondam Luigi de Noya primogenito di Luisa Muscettola). Caterinella de Noya, erede del fratello Giovanni Andrea, vendette la sua parte di feudo nell'anno 1549 a Paolo Carducci; l'altra metà, pervenuta in eredità ad Antonia de Noya, venne da questa venduta nell'anno 1618 al suocero Giovanni Tommaso Galeota.  Nel 1720 il Casale di Montemesola venne riunificato nella mani di Andrea Saraceno; questi nel 1700 aveva sposato Maria Antonia Carducci, proprietaria di metà del Casale e nel 1720, con l'acquisto dell'altra metà del Casale da Alessandro Galeota (figlio di Giovanni Tommaso), riunificò nella sua persona la titolarità dell'intero feudo. Con privilegio sovrano del 5 novembre 1755 fu concesso a Benedetto Saraceno il titolo di marchese per il feudo di Montemesola; il figlio di questi Andrea Saraceno, fece ampliare e restaurare il Palazzo Marchesale, edificato nella seconda metà del secolo XV sotto Giovanni di Noya, e dette il via ai lavori per la costruzione della chiesa di Santa Maria della Croce. Con legge del 2 agosto 1806 relativa alla eversione della feudalità, terminò la lunga e tormentata vicenda feudale dell'antico Casale di Montemesola. I diritti ancora spettanti alla casa marchesale furono definiti con la sentenza dell'11 gennaio e dell'8 agosto 1810 della Commissione feudale, in base alle quali il marchese, non più feudatario, non poteva più esigere le prestazioni prediali fino ad allora imposte, eccettuate quelle sul grano, l'orzo, l'avena e le fave. Venivano aboliti dalla legge i diritti della carnatica, del casalinaggio e della bagliva. Il marchese, inoltre, doveva astenersi dall'esercitare qualunque diritto di pascolo sopra i tenitori demaniali dell'Università o posseduti da privati. Il marchese Andrea Saraceno, spogliato degli antichi privilegi, con testamento del 9 luglio 1810, lasciò al figlio Francesco, marchesino di Strudà, tutte le proprietà ex-feudali.  Nell'anno 1820, a seguito, infine, del matrimonio fra Vittoria, figlia del marchese Francesco Cataldo Saraceno, e Nicola Chyurlia, marchese di Lizzano, tutte le proprietà ex-feudali della famiglia Saracena passarono tra i possedimenti della famiglia Chyurlia.  In questo periodo, il paese assunse una nuova fisionomia urbana. Furono sistemate le vie cittadine, costruite larghe e simmetriche e inserite nella configurazione architettonica del XV secolo. Le strade furono, infatti, innestate alle porte di San Martino (la strada per Martina), di San Gennaro (la strada per Taranto) e di San Francesco (la strada per Lecce).  Con la soppressione del sistema feudale, Montemesola passò al demanio dello stato. Il centro storico è racchiuso entro mura a sviluppo ellittico nelle quali si aprono tre porte monumentali. Conserva, quasi del tutto intatto, il quartiere elegante costituito principalmente dei palazzotti signorili, classicheggianti, voluti da Andrea Saraceno, marchese di Montemesola. Nella gravina di Montemesola è ben visibile un insediamento rupestre costituito da grotte-abitazioni, frequentate fino a tutto il secolo scorso. Gli abitanti si chiamano Montemesolini.

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